Porto con me un bellissimo ricordo

Ho iniziato la mia esperienza circa un anno fa.

Ricordo perfettamente il mio primo giorno, per me era tutto nuovo. Ho fantasticato settimane su come sarebbero potuti essere l’ambiente, l’organizzazione e la vita in Comunità, ma nessuna delle mie fantasie si è mai avvicinata a quella che è poi diventata la realtà.

Il giorno in cui ho iniziato, un nuovo mondo e una nuova consapevolezza di quello che avrei voluto fare nella vita si è sempre più fatto chiaro.

Questa esperienza mi ha dato davvero molto: ho imparato il significato vero della parola “accogliere”, e a mia volta mi sono sentita accolta, sia dalle educatrici, che mi hanno accompagnato per un anno intero, sia dalle mamme e dai loro bambini.

Per lungo o breve che sia il tempo che si passa in Comunità, essa diventa, per chi arriva, il luogo in cui passo dopo passo si mettono insieme i puzzle di una vita intera, per poi riuscire a costruire, insieme agli operatori, tutte le certezze necessarie per superare gli ostacoli che la vita ci pone davanti, sia nel presente che si sta vivendo, sia nel futuro che ci attende.

Questa è la cosa che più mi affascina del lavoro di educatore: riuscire a entrare in punta di piedi nella vita di chi ha deciso di farsi aiutare, per cercare di tirare fuori il meglio che ogni persona ha dentro di sè, per affrontare la vita e la grande sfida dell’essere genitori. I rapporti diventano quindi essenziali, sono fili che si intrecciano giorno dopo giorno, creando un equilibrio quasi perfetto per cercare di lavorare al meglio insieme.

“Insieme”, un’altra parola che ho scoperto nelle sue mille sfaccettature in questa esperienza. Nel contesto comunitario si è sempre insieme a qualcuno, nessuno è abbandonato a se stesso, e insieme si uniscono le forze e le fatiche per cercare di raggiungere un obiettivo finale. E questo vale non solo nel rapporto tra l’ospite e l’educatore, ma anche tra i vari operatori che insieme lavorano e fanno progetti.

Questa parola però ha anche un’accezione negativa talvolta. In comunità si passano insieme tutte le giornate e la convivenza con persone che non si sono scelte, spesso porta “all’inceppamento” del grande ingranaggio che muove la vita comunitaria. Anche questa però ho scoperto che può essere considerata una via di crescita, che porta ognuno a maturare per cercare di creare una sana convivenza, che può favorire la nascita di rapporti più maturi e genuini.

Da questa esperienza ho potuto maturare, sia nei rapporti con gli altri, cercando di vedere soprattutto ciò che di positivo una persona può darmi, sia nel rapporto con me stessa. Sono riuscita a sviluppare la fermezza e la determinazione nel fare quello che sento più giusto e sono diventata, a mia volta, molto aperta e paziente verso le persone che hanno bisogno di tempo per esprimere la propria persona.

Oltre a questi principi e a queste parole magiche che mi hanno aiutato in questo percorso, porto con me un bellissimo ricordo dell’anno che ho trascorso, ricco di risate fino ad avere male agli addominali, passare turni improvvisando uscite ai parchi nelle belle giornate, andare a prendere i bimbi per portarli a scuola e vederli alle 8 del mattino, già più svegli di me, corrermi incontro urlando: “Michiii ci porti tu a scuola?”. Vedere gli stessi bambini crescere giorno dopo giorno ed essere felice per quanto stanno crescendo e per progressi che fanno. Porto con me i baci inaspettati egli abbracci e i “grazie”, che credo siano la cosa che più ricompensino tutto il lavoro. Porto con me i sorrisi di tutti, che ho nella mente come fossero fotografie. Nei miei ricordi ho anche i saluti: dopo la fine di un percorso lasciano sempre un po’ di malinconia nel cuore a volte, ma ti fanno anche sentire piena di speranze nei confronti di chi lascerà la Comunità, sperando che tutto quello che è stato fatto possa davvero servire per una vita migliore.

Per un anno mi hanno accompagnato l’entusiasmo del primo giorno, la curiosità e la voglia di iniziare un turno senza sapere quello che ti aspetta e la voglia di mettersi in gioco in prima persona, dando il tutto per tutto. Queste sono le cose che mi hanno permesso di non stancarmi mai e affrontare qualsiasi situazione con nuove energie da mettere in campo.

Esco da questa esperienza definendomi “innamorata” di questo lavoro che, anche solo nel ruolo di leva civica, mi ha dato l’opportunità di “vedere da vicino” e di capire ancor meglio ciò che vorrei a fare nella vita.

Michela, leva civica alla Residenza “Il Girasole”